23 settembre 2019

Un cambiamento climatico interiore – Messaggio di Sua Santità il XVII Gyalwa Karmapa Thaye Dorje per la Giornata internazionale della pace


Il 21 settembre si è celebrata la Giornata internazionale della pace che quest'anno ha avuto come tema "Azione climatica per la pace". Milioni di persone in tutto il mondo hanno partecipato a uno sciopero climatico, e il Karmapa ha condiviso sul suo sito un messaggio sulla dimensione interiore del cambiamento del clima. 

Cari amici di Dharma,

il tema che è stato scelto per il 2019 per la Giornata internazionale della pace istituita dalle Nazioni Unite è "Azione climatica per la pace", per rispecchiare quanto sia importante contrastare il cambiamento climatico affinché il mondo sia più pacifico. 

Un modo in cui potremmo affrontare tale questione è riflettere sul ruolo del "cambiamento climatico interiore". 

Nei nostri media globali, e in altri aspetti delle nostre vite, sembra che ci sia stato un profondo mutamento nella quantità di rabbia e di altre accese emozioni che vengono espresse. Con menti non sorvegliate abbiamo causato emozioni di disturbo. Ansietà, paura, rabbia hanno contribuito a creare delle tempeste che ci spazzano via e provocano devastazione e distruzione interiori. Se non prestiamo più attenzione all'ambiente delle nostre menti, corriamo il rischio di trovarci a fronteggiare un'emergenza climatica interiore. 

La buona notizia è che tutti noi abbiamo gli strumenti necessari per aiutarci a rinfrescare le nostre menti. Attraverso la pratica della meditazione quotidiana abbiamo la possibilità di avere accesso alle nostre saggezza e compassione innate, e impariamo a diventare consapevoli delle emozioni di disturbo. La meditazione è un'azione climatica pratica e di enorme forza. 

In quanto buddhisti, comprendiamo che il mondo interiore e il mondo esteriore sono interdipendenti. Se il nostro clima interiore si surriscalda, aumenta il rischio di parole o azioni dannose nel mondo materiale. Allo stesso tempo, quando siamo in grado di raffreddare la mente e di smorzare le tempeste emotive è più probabile che parliamo e agiamo in un modo che sia di beneficio a noi stessi, agli altri e al nostro mondo naturale. 


Con compassione,

Thaye Dorje
Sua Santità il XVII Gyalwa Karmapa


Tradotto da C.R.
Photo credit: Tokpa Korlo

13 settembre 2019

La mente in ritiro: lo scopo dei centri di ritiro


Qual è lo scopo dei centri di ritiro?

Lama Ole: 
Probabilmente senza un ritiro di qualche tipo la pratica buddhista non porta risultati, perché alla base di tutto c’è il distogliere l'attenzione da tutti i tipi di pensieri, esperienze e abitudini della nostra vita quotidiana. Ecco perché andiamo in posti dove queste impressioni possono essere diminuite o magari anche fino al momento in cui più o meno spariscono. È un passo davvero importante per diventare consapevoli della nostra mente e della nostra pratica. Un breve ritiro è sempre positivo, altrimenti quell'enorme macchina che abbiamo in testa continua a lavorare. Giusto un paio di giorni in ritiro, o una settimana; liberiamo la mente da tutto ciò che non è necessario. Se viviamo un qualsiasi tipo di pressione interiore, potremmo essere in grado di lavorarci sopra in ritiro e poi andarcene completamente liberi da quel problema.


https://www.facebook.com/yogihousebedulita
Tradotto da M.S.

8 settembre 2019

Trasmissione: Lama Ole e Hannah incontrano il XVI Karmapa


«Quando ci avvicinammo ai piedi della montagna, apparve evidente che vi stava accadendo qualcosa di straordinario. Più tibetani di quanti ne avessimo mai visti insieme in una sola volta, stavano radunati attorno agli ingressi, vestiti a festa. Erano allegri ed eccitati, e tenevano le mani unite davanti al petto nel gesto dai molti significati: saluto e ringraziamento, preghiera e adorazione. Lungo i lati della collina rotolava, ripercuotendosi fragorosamente, il grave rombo dei lunghi corni tibetani, e le vibrazioni riempivano tutta la zona. Sembrava che tutti, ad ogni costo, desiderassero percorrere la ripida scala che si ergeva oltre le statue di Buddha appena verniciate, fino all'edificio religioso sulla sommità, e noi ci sentivamo attirati per la stessa via. Presi Hannah per mano, ed insieme corremmo su per i gradini, sorpassando i tibetani che si arrampicavano più lentamente. Quando raggiungemmo il grande dorje di bronzo in cima alla scala, espressione del risveglio adamantino, il suono dei corni si trasformò in un suono simile a quello dell'oboe. Sulla destra, nella spianata, c'era una massa compatta di tibetani e tutti fissavano l'ingresso del monastero. Nella penombra, dentro la porta d'entrata, vedemmo un uomo di corporatura robusta in abiti rossi e gialli, seduto su una specie di trono: reggeva sopra la testa qualcosa di nero che il sole negli occhi ci impediva di vedere. Dopo alcuni minuti lo abbassò e lo mise in una specie di scatola, mentre un cancello di ferro si chiudeva velocemente davanti all'ingresso. Per un attimo tutti furono come fulminati, poi la folla cominciò ad agitarsi. Tutti si spingevano verso una porta a sinistra dell'edificio, per cercare, con tutta probabilità, di raggiungere l'uomo sul trono. Era un caos totale. Tutti spingevano, i bambini urlavano, e mi trovai per la prima volta in un ruolo particolare di fronte ai tibetani: trattenevo i giovani e quelli forti, di modo che i vecchi e i bambini potessero passare, e proteggevo coloro che facilmente sarebbero stati travolti dalla calca. C'è bisogno di molta forza per questo lavoro, e per la gente locale, malnutrita, non è facile.
Dopo un'ora, forse, quando il fiume di gente era quasi passato, ci facemmo trascinare insieme agli ultimi. Fummo spinti dentro un lungo corridoio nero, e di colpo ci trovammo in mezzo al suono dei corni davanti al Karmapa. Quando ci mise le mani sulla testa alzammo gli occhi per guardarlo, e d'improvviso divenne più grande del cielo intero, incredibilmente espanso, dorato e raggiante. La folla ci portò avanti, l'energia che ci attraversava ci scuoteva da cima a fondo  come in trance oltrepassammo dei Lama che ci legarono dei nastrini attorno al collo. Fummo di nuovo fuori sulla piazza. Là ci aggrappammo al cancello di ferro davanti all'ingresso, in uno stato oltre ogni pensiero, con impresso negli occhi solo il grande Buddha dorato che benediva la folla. Noi sapevamo che non avremmo mai più potuto dimenticare la perfezione che ci aveva mostrato. Il potere del Karmapa era entrato nelle nostre vite.»


Lama Ole Nydahl
Tratto da La Via di Diamante. Tre anni con i Buddha del tetto del mondo