«Quando ci avvicinammo ai piedi della montagna, apparve evidente che vi stava accadendo qualcosa di straordinario. Più tibetani di quanti ne avessimo mai visti insieme in una sola volta, stavano radunati attorno agli ingressi, vestiti a festa. Erano allegri ed eccitati, e tenevano le mani unite davanti al petto nel gesto dai molti significati: saluto e ringraziamento, preghiera e adorazione. Lungo i lati della collina rotolava, ripercuotendosi fragorosamente, il grave rombo dei lunghi corni tibetani, e le vibrazioni riempivano tutta la zona. Sembrava che tutti, ad ogni costo, desiderassero percorrere la ripida scala che si ergeva oltre le statue di Buddha appena verniciate, fino all'edificio religioso sulla sommità, e noi ci sentivamo attirati per la stessa via. Presi Hannah per mano, ed insieme corremmo su per i gradini, sorpassando i tibetani che si arrampicavano più lentamente. Quando raggiungemmo il grande dorje di bronzo in cima alla scala, espressione del risveglio adamantino, il suono dei corni si trasformò in un suono simile a quello dell'oboe. Sulla destra, nella spianata, c'era una massa compatta di tibetani e tutti fissavano l'ingresso del monastero. Nella penombra, dentro la porta d'entrata, vedemmo un uomo di corporatura robusta in abiti rossi e gialli, seduto su una specie di trono: reggeva sopra la testa qualcosa di nero che il sole negli occhi ci impediva di vedere. Dopo alcuni minuti lo abbassò e lo mise in una specie di scatola, mentre un cancello di ferro si chiudeva velocemente davanti all'ingresso. Per un attimo tutti furono come fulminati, poi la folla cominciò ad agitarsi. Tutti si spingevano verso una porta a sinistra dell'edificio, per cercare, con tutta probabilità, di raggiungere l'uomo sul trono. Era un caos totale. Tutti spingevano, i bambini urlavano, e mi trovai per la prima volta in un ruolo particolare di fronte ai tibetani: trattenevo i giovani e quelli forti, di modo che i vecchi e i bambini potessero passare, e proteggevo coloro che facilmente sarebbero stati travolti dalla calca. C'è bisogno di molta forza per questo lavoro, e per la gente locale, malnutrita, non è facile.
Dopo un'ora, forse, quando il fiume di gente era quasi passato, ci facemmo trascinare insieme agli ultimi. Fummo spinti dentro un lungo corridoio nero, e di colpo ci trovammo in mezzo al suono dei corni davanti al Karmapa. Quando ci mise le mani sulla testa alzammo gli occhi per guardarlo, e d'improvviso divenne più grande del cielo intero, incredibilmente espanso, dorato e raggiante. La folla ci portò avanti, l'energia che ci attraversava ci scuoteva da cima a fondo come in trance oltrepassammo dei Lama che ci legarono dei nastrini attorno al collo. Fummo di nuovo fuori sulla piazza. Là ci aggrappammo al cancello di ferro davanti all'ingresso, in uno stato oltre ogni pensiero, con impresso negli occhi solo il grande Buddha dorato che benediva la folla. Noi sapevamo che non avremmo mai più potuto dimenticare la perfezione che ci aveva mostrato. Il potere del Karmapa era entrato nelle nostre vite.»
Lama Ole Nydahl
Tratto da La Via di Diamante. Tre anni con i Buddha del tetto del mondo
Tratto da La Via di Diamante. Tre anni con i Buddha del tetto del mondo
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