3 novembre 2015

Che cos'è la compassione?

 
La compassione è la nostra natura intrinseca e una qualità delle nostre menti. Mira, allo stesso tempo, al raggiungimento della vera felicità che è inerente in ognuno di noi e auspica di porre fine alla confusione per tutti, permettendo così una comprensione corretta del mondo e dei suoi esseri. Attraverso un flusso molto naturale di compassione diamo un significato importante alla vita.
 
Dato che questa qualità compassionevole è innata, non dobbiamo cercare in nessun altro luogo per trovarla: ovunque sia presente una consapevolezza, c'è un seme di compassione. E lo stesso vale per la saggezza; anche un seme di questa è presente ovunque ci sia consapevolezza. La compassione è inseparabile dalla saggezza.
 
La compassione - la sua espressione che fluisce liberamente e la sua qualità - è così significativa perché senza di essa non saremmo in grado di vivere pienamente le nostre vite, senza di essa riusciremmo solo a sperimentare una pace fragile e condizionata. E' a causa della compassione, che dà luogo a una reale comprensione, che possiamo trovare pace e felicità incondizionate, e a livello ultimo la liberazione.
 
Per avvicinarci a questo, il Buddha ci ha insegnato a coltivare più compassione in noi stessi, nei confronti gli uni degli altri e verso il mondo, sulla base del riconoscimento che l'aspirazione e la motivazione di volere la felicità (e di non volere l'infelicità) sono profondamente radicate in ognuno di noi. Se usiamo questa comprensione per connetterci gli uni agli altri, possiamo creare il fondamento per sviluppare e incrementare la cosa più essenziale nelle nostre vite: la compassione.
 
Seminando in ogni momento che passa semi di comprensione compassionevole, riusciamo a sopraffare svariati tipi di confusione senza grande sforzo. Gli impedimenti vengono facilmente evitati e avanziamo al sicuro lungo il cammino della virtù, usando in modo grandioso questa preziosa e fragile esistenza umana. Per esempio, se ci troviamo in mezzo agli ostacoli, il fatto di concentrarci sui nostri auspici più profondi ci aiuterà a superare le sfide mentali e fisiche che si presentano.
 
Dovremmo ricordare a noi stessi che questo sviluppo della compassione può essere realizzato senza molto lavoro duro: possiamo farlo stando seduti, camminando, o persino dormendo. Applicandoci in questo modo, possiamo utilizzare ogni momento libero per coltivare la compassione, anche all'interno di questo mondo fisico limitato.
 
Il ruolo della famiglia nello sviluppo della compassione
 
 
Dal mio punto di vista, credo che la famiglia - si tratti dei nostri parenti stretti o di altre forme di famiglia - rappresenti l'ambiente ideale per iniziare a generare compassione. Indipendentemente dal nostro background culturale o status sociale, infatti, la famiglia è il terreno più fertile in cui coltivare il nostro seme inerente di compassione affinché prosperi. Non può crescere senza questo terreno produttivo che è la famiglia; lo scopo stesso del suolo fertile è far sì che i semi si sviluppino e diventino una pianta pienamente manifestata e in salute. Così, l'incremento della nostra compassione innata è intimamente e in modo interdipendente connesso al terreno fruttifero delle nostre famiglie.
 
E' vero che i buddha e i bodhisattva consigliano ai praticanti di abbandonare l'attaccamento, e in particolare quello nei confronti della famiglia: l'attaccamento, infatti, non è intrinseco, è compassione fuorviata. Per una mente che non osserva, potrebbe sembrare che l'attaccamento consista nel ricercare la stessa cosa della compassione. Tuttavia, una mente attenta scoprirebbe che l'attaccamento ha sempre dei progetti egoistici, mentre la compassione cerca una premura incondizionata non solo per se stessi, ma anche per gli altri.
 
Mentre il praticante diventa gradualmente consapevole di questa verità fondamentale, la mente valuta una data situazione ed evita accortamente di sviluppare tutte le forme di attaccamento. Per esempio, stando alla larga da condizioni esterne come la famiglia per paura di recare danno, poiché l'attaccamento non nuoce solo a noi, ma anche agli altri. Nel momento in cui la mente vince l'attaccamento, tuttavia, capiamo che c'è sempre meno bisogno di scansare simili condizioni esteriori, e riusciamo quindi a vedere come la nostra famiglia sia davvero il terreno ideale e produttivo per coltivare la compassione.
 
Naturalmente, possiamo cercare di trovare altre terre o suoli - cioè altre famiglie -, ma il terreno o la famiglia a cui finora siamo già stati legati è di gran lunga quello più fertile. Ed è tale perché sperimenteremo il manifestarsi di una sollecitudine naturale gli uni per gli altri; ogni membro della famiglia ci guiderà e ci insegnerà in un modo tutto suo.
 
Pertanto, nonostante il seme della compassione sia inerente dentro ognuno di noi, per svilupparla in noi stessi e nel mondo che abbiamo attorno per prima cosa abbiamo bisogno di un suolo fertile, cioè la nostra famiglia. E' responsabilità di tutti noi trovare il coraggio per coltivare la compassione, libera da attaccamento, e ricercare la premura incondizionata per tutti gli esseri senzienti.
 
 
XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje
Photo credit: Tokpa Korlo, Magda Jungowska
Tradotto da C.R.

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