30 novembre 2015

Un semplice passaggio da uno stato di coscienza a un altro


«Dovremmo prendere seriamente in considerazione la possibilità che la morte, come la nascita, possa essere un semplice passaggio da uno stato di coscienza a un altro. La nostra concezione della morte viene completamente trasformata dalla conclusione quasi inevitabile che, dopo la morte fisica, la coscienza non locale può continuare in un'altra dimensione in un mondo invisibile e immateriale che contiene passato, presente, e futuro.
La coscienza non è confinata al cervello perché è non locale, e il nostro cervello agevola la nostra esperienza della coscienza, piuttosto che produrla. Mentre la nostra coscienza di veglia ha una base biologica in quanto il nostro corpo funziona come un'interfaccia, non esiste alcuna base biologica per la nostra coscienza senza fine e non locale che ha le sue radici nello spazio non locale. La coscienza di veglia viene sperimentata attraverso il corpo, ma la coscienza senza fine non risiede nel nostro cervello.
Un necrologio in cui mi sono imbattuto recentemente recava le seguenti parole: "Ciò che hai perisce; ciò che sei sopravvive al di là del tempo e dello spazio". La morte segna solamente la fine del nostro aspetto fisico; in altre parole, noi abbiamo un corpo, ma siamo coscienza. Liberi dal nostro corpo, siamo ancora in grado di avere esperienze coscienti, siamo ancora esseri senzienti. Di recente una persona che ha vissuto un'esperienza di pre-morte mi ha scritto: "Posso vivere senza il mio corpo, ma apparentemente il mio corpo non può vivere senza di me". Dopo che il corpo è morto, siamo in contatto con o, piuttosto, diventiamo una parte cosciente di questa coscienza senza fine e non locale.»


Pim Van Lommel, cardiologo olandese, studioso delle esperienze di pre-morte
Tratto da Consciuosness Beyond Life. The Science of the Near-Death Experience
Tradotto da C.R.


#ilprocessodellamorte


27 novembre 2015

Sebbene il corpo decada alla fine della vita, il flusso della nostra consapevolezza continua

 
Sebbene il corpo decada alla fine della vita, il flusso della nostra consapevolezza continua, se è presente una causa. Questo succede il più delle volte, sulla base o del karma o delle aspirazioni, ma soprattutto per mezzo del karma. Pertanto, se è presente una causa che fa sì che la mente continui il suo flusso, tutto ciò che essa ha imparato o compreso nel corso di una specifica esistenza prosegue e procede - niente è sprecato o va perduto.
 
 
XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje
Tradotto da C.R.
 
 

24 novembre 2015

Impara a vivere, impara a morire

 
In genere si pensa: più la vita è stata bella, più è difficile rinunciarvi.

Dipende da che cosa si intende per "bello". Chi con il termine "bello" intende andare in vacanza in Florida d'inverno e riempirsi la vita di ricchezze materiali farà senz'altro fatica a morire, perchè avrà la sensazione di dover rinunciare a tutto. Chi, al contrario, ha saputo davvero amare e aiutare il prossimo nel corso della propria esistenza proverà una sensazione di ricchezza interiore. E non avrà alcuna difficoltà ad accettare la morte.
 
 
Elisabeth Kübler-Ross (1926-2014): psichiatra svizzera, una delle più importanti studiose della psicotanatologia contemporanea
Tratto da Impara a vivere, impara a morire. Riflessioni sul senso della vita e sull'importanza della morte
M.S.
 

20 novembre 2015

Praticare in tempi difficili

 
«Attualmente ci troviamo nell'era delle cinque degenerazioni, un'epoca in cui il buon eone sta finendo. Con "noi" non mi riferisco alla nostra generazione, e neppure a un arco temporale che includa una generazione o due prima della nostra: l'eone in cui viviamo è il medesimo del Buddha Shakyamuni, anch'egli di fatto è nato e ha insegnato nel corso di quest'epoca degenerata. Il buon eone ha avuto i suoi buddha, i primi quattro, e siamo davvero fortunati ad aver avuto un buddha in questo eone difficile. Per molte, molte generazioni, gli esseri senzienti hanno vissuto e continuano a vivere in condizioni assai gravose. Queste condizioni avverse sono state denominate "le cinque degenerazioni", o le cinque crisi, e sono tanto predominanti oggi quanto lo erano duemila anni fa:
Vita fisica: la durata della vita umana è limitata a circa cento anni. Nonostante i progressi della medicina moderna e la disponibilità di alimenti salutari, la lunghezza della nostra vita è comunque circoscritta, e i nostri corpi fisici sono soggetti a molte malattie che possono accorciarla.
I tempi: siamo esposti alle condizioni precarie dell'ambiente, risultanti dal karma collettivo. Siamo soggetti a molti disastri naturali che possono colpire in qualunque momento come uragani, tornado, terremoti, alluvioni e incendi, e a guerre improvvise create da persone stupide.
Esseri imperfetti: la nostra natura attuale non è perfetta. Anche se abbiamo il potenziale per svilupparci in modo positivo, tendiamo a non farlo, e la ragione è che i nostri tanti difetti (come l'aggressività) ostacolano le possibilità che abbiamo di cambiare in meglio.
Viviamo in un'epoca in cui la maggioranza delle persone si fa del male a vicenda. Ci ritroviamo in mezzo a guerre, violenza e sfruttamento; molti patiscono terribili atrocità per mano dei loro consimili esseri umani. Siamo ugualmente crudeli nei confronti degli animali, e anche questi si attaccano reciprocamente. La sofferenza che gli esseri viventi infliggono l'uno all'altro è giunta al culmine.
Visioni erronee: il problema con queste è che creano molte difficoltà nel mondo. Le visioni imperfette delle masse sono radicate nell'attaccamento all'ego, nella confusione e nell'egoismo, e questi errori di pensiero perpetuano nella società ingiustizia e discriminazione dannosa. Sfortunatamente, le visioni sbagliate si sono fatte strada in tutti gli aspetti della vita - nei sistemi sociali, religiosi, culturali, politici e legali, allo stesso modo.
Emozioni di disturbo: ovunque le persone sono dominate da emozioni negative. Di fatto, le emozioni di disturbo vengono continuamente a galla in modo piuttosto naturale, e nonostante esistano dei rimedi contro di esse,   somministrarli è davvero una battaglia in salita. Se desideriamo sviluppare anche solo una minuscola virtù, d'altro canto, dobbiamo fare uno sforzo enorme: il più delle volte, infatti, le emozioni negative semplicemente ci sopraffanno.

Possiamo osservare come il nostro tempo sia particolarmente sfavorevole. Quasi ogni singolo essere senziente agisce pressoché esclusivamente spinto dalla sua mente afflitta, e persino il primo impulso ad agire è quasi sempre fondato sulla mente disturbata e collegato al karma negativo. Quello che facciamo, lo facciamo unicamente per il nostro interesse personale, mentre chi cerca di fare del bene nella sua vita, la pratica del Dharma o qualche altra cosa positiva, si imbatterà in molti ostacoli. Confrontiamo questo con coloro che vivono in modo disonesto e hanno motivazioni negative, e vediamo come in realtà tendano a vivere a lungo e a sperimentare il successo: un pessimo leader, per esempio, potrebbe essere rieletto! In quest'epoca oscura, non esiste quasi nessun metodo di Dharma che possa essere un buon rimedio, fatta eccezione per la pratica dello scambiare se stesso con l'altro: questa istruzione chiave, pertanto, è l'unico modo attraverso il quale persino le cinque degenerazioni possono essere usate per la via verso il risveglio. Una volta che sai questo, tutto è utile, e anche le cose che normalmente verrebbero considerate negative improvvisamente diventano buone e possono essere utilizzate per arrivare a un risultato positivo. Significa anche che questo metodo vincerà tutto il karma negativo, gli stati mentali disturbati e le loro conseguenze. Tutto verrà messo sotto controllo e usato per l'illuminazione, ogni cosa verrà trasformata, e ti ritroverai rapidamente in uno stato illuminato.»


XIV Kunzig Shamar Rinpoche Mipham Chokyi Lodro (1952-2014)
Tratto da The Path to Awakening
Tradotto da C.R.

16 novembre 2015

Cosa succede quando moriamo?

 
Video sottotitolato in italiano; clicca sul relativo pulsante.
 
 
Lama Ole Nydahl descrive, dalla prospettiva buddhista, gli aspetti fisici legati al momento in cui un corpo muore. Questa è solo una delle tante spiegazioni che possono essere trovate nel suo libro Della Morte e della Rinascita.
  
 
Per informazioni sul libro:
http://morte-e-rinascita.blogspot.com
 

14 novembre 2015

 


Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.


Paolo Borsellino (1940-1992)
M.S.

Attacchi terroristici a Parigi: messaggio di Sua Santità il XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje

 
E' davvero triste essere testimoni di quanto possiamo essere distruttivi noi esseri umani. In questo momento è particolarmente importante ricordare che siamo anche capaci di immenso coraggio e compassione. In questo giorno tragico, offro le mie preghiere alle vittime, agli attentatori, e a tutte le persone a cui direttamente e indirettamente è stato fatto del male.

Dobbiamo trovare un modo per usare questo momento per coltivare consapevolezza e comprensione, così da poter vivere le nostre vite senza paura. Dobbiamo trovare un modo per usare questo momento per resistere alla paura e al panico, e per non soccombere ad essi. Dobbiamo trovare un modo per usare questo momento per sviluppare compassione, e per mostrare agli altri che è la mancanza di consapevolezza, saggezza e compassione, che si manifesta sotto forma di emozioni, la vera cosa che dobbiamo fronteggiare.

Prego affinché tutti noi troviamo un modo per usare questo momento per rispondere con gentilezza amorevole, per resistere con la speranza nei nostri cuori, e per ricordare che gli esseri umani sono anche capaci di immenso coraggio e compassione. Vorrei chiedere a tutte le persone colpite direttamente e indirettamente da questa tragedia di unirsi a questa aspirazione.


XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje
Fonte: http://www.karmapa.org
Tradotto da C.R.

Proiezioni mentali

 
«Le proiezioni mentali sono le idee rigide che abbiamo, simili a vetri colorati che modificano artificialmente l'esperienza: vetri rosati quando ci aspettiamo qualcosa di carino, vetri neri quando siamo tristi, e così via. Ma va oltre questo, arriva al materialismo, al nichilismo, al trascendentalismo, e all'esistenzialismo. Idee di cui non ci possiamo fidare, idee che limitano la mente perché sono inferiori a quella stessa mente che vorrebbero spiegare. Possiamo citare Shakespeare, quando della filosofia scrisse: "Ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne sogni la tua filosofia". Molte visioni filosofiche, per dimostrare la validità di qualcosa, dimostrano l'invalidità di qualcos'altro. Una filosofia autentica dovrebbe contenere tutte le cose e rendere tutto utile. Una situazione radicalmente diversa.
Gli insegnamenti del Buddha al riguardo indicano che non sono le esperienze ad avere importanza, ma che è importante ciò che percepisce le esperienze; non è importante ciò che viene visto, ma ciò che vede. La mente è la cosa veramente importante, mentre tutto ciò che succede nella mente è come lo scorrere di un film.
Se siamo mente, se veramente siamo ciò che è consapevole in questo istante, allora il coraggio appare quando vediamo la mente come spazio. Gioia appare quando vediamo che lo spazio è consapevole e conscio. E gentilezza appare quando vediamo che lo spazio consapevole e conscio è illimitato. Avete solo bisogno di conoscere ciò che conosce. Se riuscite a vedere ciò che vede, tutte le cose sono rese visibili.»


Lama Ole Nydahl
Tratto da Domande e Risposte con Lama Ole Nydahl

12 novembre 2015

Messaggio di Sua Santità il XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje per il sessantesimo compleanno del Re del Bhutan


S.S. il XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje e Jigme Singye, Sua Maestà il IV Druk Gyalpo
 
 
 
 
Cari amici di Dharma in tutto il mondo,

l'11 novembre il Regno del Bhutan celebrerà il sessantesimo compleanno del re Jigme Singye, Sua Maestà il IV Druk Gyalpo, con preghiere che si terranno in tutti i monasteri in ogni parte del paese. La sua gente festeggerà quest'occasione di ottimo auspicio e di grande solennità, il sessantesimo compleanno del loro sovrano. Sua Maestà il IV Druk Gyalpo, infatti, è amato e riverito con la gioia più grande dai bhutanesi per il suo governo davvero illuminato: è l'unico monarca vivente ad aver introdotto la democrazia e uno Stato di diritto costituzionale, nonostante i suoi sudditi abbiano manifestato espressamente il desiderio che continuasse ad essere il loro sovrano assoluto.

Sin dai tempi del primo Druk Gyalpo stesso, Ugyen Wangchuck, il lignaggio dei Karmapa ha costantemente ricevuto straordinaria gentilezza e sostegno dal Bhutan. Sua Maestà il IV Druk Gyalpo è stato molto cortese nei confronti miei e del mio defunto insegnante Sua Santità Kunzig Shamar Rinpoche.
 
Reciterò il mantra e la sadhana di Tara Bianca per pregare per la lunga vita di Sua Maestà il IV Druk Gyalpo. E chiedo a tutti i miei studenti, monasteri e centri in tutto il mondo di unirsi a me in queste pratiche: in questa circostanza favorevole, chiedo a tutti voi di offrire preghiere perché Sua Maestà possa avere una vita lunga e in salute, e per il benessere e la prosperità della sua gente.
 
Con riconoscenza, ringrazio Sua Maestà il IV Druk Gyalpo, Sua Maestà il V Druk Gyalpo e la popolazione bhutanese per il loro continuo supporto al Buddhadharma, e offro le mie congratulazioni in questa gioiosa occasione e celebrazione del sessantesimo compleanno di Sua Maestà il IV Druk Gyalpo.
 
 
Con preghiere
Thaye Dorje, Sua Santità il XVII Gyalwa Karmapa
 
 
Tradotto da C.R.

7 novembre 2015

Hannah

 
  «Dal momento in cui ho incontrato per la prima volta dei puri insegnamenti buddhisti, è stata come una rilevazione. Sin dall'infanzia ho sempre avuto molte domande nella mia mente, mi interrogavo sul significato dell'esistenza e cose simili. La Danimarca è un paese cristiano, ma non molto religioso, e il Cristianesimo che vi ho conosciuto non mi dava le risposte che stavo cercando: non potevo accettare il concetto di un unico dio creatore, la retorica secondo cui se non credevi in dio eri dannato per sempre, o che chi non credeva in dio era perso. Questo non ha mai avuto senso per me. Inoltre, mi interessava molto ciò che succedeva alla mente quando una persona moriva. Mi ponevo tante domande su questo genere di cose quando ero giovanissima.
 
Successivamente, durante l'adolescenza, mi sono dedicata a molte attività mondane; mi sono fatta distrarre e non ero così presa da queste questioni. Poi ho incontrato Ole, e abbiamo iniziato a prendere sostanze psichedeliche: dal mio punto di vista, si trattava di una continuazione della ricerca di risposte e soprattutto del tentativo di esplorare la mente. A parte aver rotto qualche concetto rozzo relativo alla solidità e realtà del mondo, e aver ottenuto in questo modo un assaggio della natura illusoria delle cose, nemmeno le droghe mi hanno dato alcuna risposta. Il problema era che invece ci si aggrappava alle esperienze come fossero reali, e questo era persino peggio e più difficile da purificare.
 
I primi insegnamenti buddhisti diretti che ho letto, nel 1968, si trovavano in un libro intitolato Lo yoga tibetano e le dottrine segrete. All'inizio del volume c'era un testo scritto da Gampopa, La ghirlanda di preziosi gioielli, tradotto da Evans-Wentz: si tratta di una raccolta di insegnamenti, presentati in serie di consigli, che inizia su un livello relativo ordinario e ti guida fino agli insegnamenti assoluti. Ha risposto a tutte le questioni su cui mi ero interrogata. E' stata un'esperienza molto forte per me, come tornare a casa.
 
In seguito abbiamo incontrato il nostro insegnante, il Karmapa, e abbiamo iniziato a praticare. Da allora, è stato un processo consistente nel cercare di assimilare il più possibile gli insegnamenti. E' incredibile quanto siano vasti e profondi, non hanno davvero fine. Ogni istruzione e pratica che mi è stata data ha sempre confermato la verità degli insegnamenti del Buddha e mi ha portato a una comprensione più profonda. Sentendo quanto il Dharma mi ha aiutato, e vedendo quanto è di beneficio anche per gli altri, provo un'enorme gratitudine per il fatto di riuscire a usare la mia vita così come faccio.»
 

Hannah Nydahl
Tratto da un'intervista rilasciata a Kagyu Life International nel 1995
Tradotto da C.R.

3 novembre 2015

Che cos'è la compassione?

 
La compassione è la nostra natura intrinseca e una qualità delle nostre menti. Mira, allo stesso tempo, al raggiungimento della vera felicità che è inerente in ognuno di noi e auspica di porre fine alla confusione per tutti, permettendo così una comprensione corretta del mondo e dei suoi esseri. Attraverso un flusso molto naturale di compassione diamo un significato importante alla vita.
 
Dato che questa qualità compassionevole è innata, non dobbiamo cercare in nessun altro luogo per trovarla: ovunque sia presente una consapevolezza, c'è un seme di compassione. E lo stesso vale per la saggezza; anche un seme di questa è presente ovunque ci sia consapevolezza. La compassione è inseparabile dalla saggezza.
 
La compassione - la sua espressione che fluisce liberamente e la sua qualità - è così significativa perché senza di essa non saremmo in grado di vivere pienamente le nostre vite, senza di essa riusciremmo solo a sperimentare una pace fragile e condizionata. E' a causa della compassione, che dà luogo a una reale comprensione, che possiamo trovare pace e felicità incondizionate, e a livello ultimo la liberazione.
 
Per avvicinarci a questo, il Buddha ci ha insegnato a coltivare più compassione in noi stessi, nei confronti gli uni degli altri e verso il mondo, sulla base del riconoscimento che l'aspirazione e la motivazione di volere la felicità (e di non volere l'infelicità) sono profondamente radicate in ognuno di noi. Se usiamo questa comprensione per connetterci gli uni agli altri, possiamo creare il fondamento per sviluppare e incrementare la cosa più essenziale nelle nostre vite: la compassione.
 
Seminando in ogni momento che passa semi di comprensione compassionevole, riusciamo a sopraffare svariati tipi di confusione senza grande sforzo. Gli impedimenti vengono facilmente evitati e avanziamo al sicuro lungo il cammino della virtù, usando in modo grandioso questa preziosa e fragile esistenza umana. Per esempio, se ci troviamo in mezzo agli ostacoli, il fatto di concentrarci sui nostri auspici più profondi ci aiuterà a superare le sfide mentali e fisiche che si presentano.
 
Dovremmo ricordare a noi stessi che questo sviluppo della compassione può essere realizzato senza molto lavoro duro: possiamo farlo stando seduti, camminando, o persino dormendo. Applicandoci in questo modo, possiamo utilizzare ogni momento libero per coltivare la compassione, anche all'interno di questo mondo fisico limitato.
 
Il ruolo della famiglia nello sviluppo della compassione
 
 
Dal mio punto di vista, credo che la famiglia - si tratti dei nostri parenti stretti o di altre forme di famiglia - rappresenti l'ambiente ideale per iniziare a generare compassione. Indipendentemente dal nostro background culturale o status sociale, infatti, la famiglia è il terreno più fertile in cui coltivare il nostro seme inerente di compassione affinché prosperi. Non può crescere senza questo terreno produttivo che è la famiglia; lo scopo stesso del suolo fertile è far sì che i semi si sviluppino e diventino una pianta pienamente manifestata e in salute. Così, l'incremento della nostra compassione innata è intimamente e in modo interdipendente connesso al terreno fruttifero delle nostre famiglie.
 
E' vero che i buddha e i bodhisattva consigliano ai praticanti di abbandonare l'attaccamento, e in particolare quello nei confronti della famiglia: l'attaccamento, infatti, non è intrinseco, è compassione fuorviata. Per una mente che non osserva, potrebbe sembrare che l'attaccamento consista nel ricercare la stessa cosa della compassione. Tuttavia, una mente attenta scoprirebbe che l'attaccamento ha sempre dei progetti egoistici, mentre la compassione cerca una premura incondizionata non solo per se stessi, ma anche per gli altri.
 
Mentre il praticante diventa gradualmente consapevole di questa verità fondamentale, la mente valuta una data situazione ed evita accortamente di sviluppare tutte le forme di attaccamento. Per esempio, stando alla larga da condizioni esterne come la famiglia per paura di recare danno, poiché l'attaccamento non nuoce solo a noi, ma anche agli altri. Nel momento in cui la mente vince l'attaccamento, tuttavia, capiamo che c'è sempre meno bisogno di scansare simili condizioni esteriori, e riusciamo quindi a vedere come la nostra famiglia sia davvero il terreno ideale e produttivo per coltivare la compassione.
 
Naturalmente, possiamo cercare di trovare altre terre o suoli - cioè altre famiglie -, ma il terreno o la famiglia a cui finora siamo già stati legati è di gran lunga quello più fertile. Ed è tale perché sperimenteremo il manifestarsi di una sollecitudine naturale gli uni per gli altri; ogni membro della famiglia ci guiderà e ci insegnerà in un modo tutto suo.
 
Pertanto, nonostante il seme della compassione sia inerente dentro ognuno di noi, per svilupparla in noi stessi e nel mondo che abbiamo attorno per prima cosa abbiamo bisogno di un suolo fertile, cioè la nostra famiglia. E' responsabilità di tutti noi trovare il coraggio per coltivare la compassione, libera da attaccamento, e ricercare la premura incondizionata per tutti gli esseri senzienti.
 
 
XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje
Photo credit: Tokpa Korlo, Magda Jungowska
Tradotto da C.R.