Cari tutti,
... e la luna alla finestra il ladro non la porta via
cantava Alice, e noi in omaggio a questa splendida luna piena d'agosto, ricorrenza che ricorda il compleanno del XVI Karmapa e il parinirvana di Gampopa, vorremmo regalarvi un post speciale.
Nella speranza che vi piaccia!
L'addio di Laurie Anderson a Lou Reed
'Per ventuno anni abbiamo intrecciato le nostre menti e i nostri cuori'
Ho incontrato Lou a Monaco, non a New York. Era il 1992 e tutti e due partecipavamo al Kristallnacht Festival organizzato da John Zorn per commemorare la notte dei cristalli che nel 1938 aveva segnato l'inizio dell'Olocausto. Mi ricordo le espressioni irritate sulle facce degli ufficiali della dogana mentre i musicisti di Zorn uscivano tutti quanti con la maglietta rosso brillante con su scritto RHYTHM AND JEWS!
John voleva che ci incontrassimo tra di noi e suonassimo insieme, al contrario della logica "sali-e-scendi-dal-palcoscenico" tipica dei festival, e così Lou mi chiese di leggere qualcosa con la sua band. Cosa che feci, e il risultato fu rumoroso, intenso ed estremamente divertente. Dopo lo spettacolo Lou disse: «Lo hai fatto proprio come faccio io!» - perché avesse bisogno di far fare a me una cosa che avrebbe potuto fare lui non era chiaro, ma di certo era da prendersi come un complimento.
Lou mi piacque subito, ma ero sorpresa dal fatto che non avesse un accento inglese; per una qualche ragione credevo che i Velvet Underground fossero inglesi, e avevo solo una vaga idea di cosa facessero... lo so, lo so - venivo da un altro pianeta. E tutti quei mondi che circolavano a New York in quel periodo - il mondo della moda, quello dell'arte, il mondo della letteratura, il mondo rock e quello finanziario, erano tutti molto provinciali, in qualche modo sprezzanti, non ancora connessi tra loro.
Scoprimmo poi che a New York non vivevamo tanto lontani, e dopo il festival Lou propose di incontrarci, e credo fosse contento della mia risposta: «Sì! Assolutamente! Sono in tour, ma al mio rientro - cioè, fammi pensare, tra quattro mesi circa - ci vediamo di sicuro».
Siamo andati avanti così per un po', e a un certo punto poi mi chiese se volevo andare alla Audio Engineering Society Convention. Gli dissi che già avevo in programma di andarci e che ci saremmo potuti incontrare negli spazi dedicati ai microfoni. Questo congresso è il posto migliore e il più grande dove i fanatici della tecnologia possono andare a curiosare in cerca di nuove attrezzature, e noi passammo un bel pomeriggio a guardare amplificatori e cavi e a parlare di elettronica. Non sapevo che questo avrebbe dovuto essere un appuntamento galante, ma alla fine quando ci fermammo per un caffè mi chiese: «Ti piacerebbe andare al cinema?» Certo. «Dopo il film andiamo a cena?» Ok. «E dopo facciamo una passeggiata?» «Ah-ah.....». Da quel momento in poi non ci siamo praticamente mai staccati.
Lou e io suonavamo insieme, siamo diventati prima i migliori amici uno dell'altro e poi anime gemelle, viaggiavamo, ci ascoltavamo a vicenda e criticavamo a vicenda il lavoro uno dell'altro, studiavamo delle cose insieme (dalla caccia alle farfalle, alla meditazione, all'andare in kayak). Ci inventavamo delle barzellette ridicole, insieme abbiamo smesso di fumare venti volte, facevamo la lotta; abbiamo imparato a trattenere il fiato sott'acqua, siamo andati in Africa, abbiamo cantato l'opera negli ascensori. Siamo diventati amici di persone improbabili, e se potevamo andavamo in tour con l'altro. Abbiamo preso un cagnolino che suonava il piano e condividevamo una casa che era separata dalla casa in cui ognuno di noi viveva per conto suo. Ci proteggevamo a vicenda e ci amavamo l'un l'altro.
Dedicavamo tanto tempo all'arte e alla musica, al teatro e agli spettacoli, e io lo guardavo amare e apprezzare altri artisti e musicisti. E' sempre stato così generoso; sapeva quanto fosse duro per un artista andare avanti. Amavamo la vita nel West Village, e i nostri amici, e tutto sommato abbiamo fatto il meglio che potevamo.
Come accade in molte coppie ognuno di noi ha costruito dei modi di essere - delle strategie, e a volte dei compromessi che ci mettessero in grado di essere parte di una coppia. A volte abbiamo perso un pochino di più di quello che eravamo stati in grado di dare, oppure abbiamo rinunciato a troppo, decisamente, oppure ci siamo sentiti abbandonati. A volte ci siamo arrabbiati tantissimo. Ma neppure da infuriata mi sono sentita annoiata. Abbiamo imparato a perdonarci. E in qualche modo, per ventuno anni, abbiamo intrecciato le nostre menti e i nostri cuori.
Nella primavera del 2008 stavo camminando per strada, in California, parlavo al telefono con Lou e mi stavo autocommiserando:«Ci sono così tante cose che non ho mai fatto e che avrei voluto fare».
«Tipo?»
«Tipo, non ho mai imparato il tedesco, non ho mai studiato fisica e non mi sono mai sposata».
«Perchè non ci sposiamo?» chiese Lou. «Ci incontriamo a metà strada. Vengo in Colorado. Domani come ti sembra?»
«Domani non ti pare un pare un po' presto?»
«No».
E così il giorno dopo ci incontrammo a Boulder, in Colorado, e ci sposammo nel cortile della casa di un amico. Era sabato, indossavamo i soliti vecchi vestiti che si portano di sabato, e quando ci hanno costretti a esibirci subito dopo la cerimonia Lou disse di sì (quando i musicisti si sposano è un po' come per gli avvocati; quando sai che devi lavorare in studio fino alle tre di mattina - o cancellare i tuoi programmi per finire una causa - sai già che è così e non è che vai su tutte le furie).
Suppongo che ci siano molti modi di sposarsi. C'è chi sposa qualcuno senza conoscerlo bene - il che può anche funzionare. Quando sposi la persona che da tanti anni è il tuo migliore amico forse il termine "matrimonio" andrebbe cambiato. Ma la cosa che mi ha più sorpreso del matrimonio è stato il modo in cui ha alterato il tempo. E il modo in cui ha aggiunto una tenerezza che in qualche modo era completamente nuova. Per parafrasare il grande Willie Nelson: «Il 90% delle persone al mondo va a finire con la persona sbagliata. E questo è quello che fa girare il jukebox». Il jukebox di Lou girava per amore e anche per tante altre cose: bellezza, dolore, storia, coraggio, mistero.
Lou è stato malato durante l'ultimo paio di anni, inizialmente dopo i trattamenti con l'interferone, una serie di iniezioni indegne ma a volte efficaci che funzionano per il trattamento dell'epatite C e hanno tanti effetti collaterali odiosi. Poi si è sviluppato il cancro al fegato, coronato dall'avanzamento del diabete. Siamo diventati ferrati in tema di ospedali. Lou imparò tutto delle malattie e dei trattamenti. Continuò a fare Tai Chi due ore al giorno, in più c'erano la fotografia, i libri, le registrazioni, il suo programma in radio con Hal Willner e molti altri progetti. Amava i suoi amici, e li chiamava, mandava messaggi, e-mail quando non poteva stare con loro. Cercavamo di capire e di applicare le cose che ci diceva il nostro maestro, Mingyur Rinpoche - soprattutto quelle difficili, come: «Dovete provare a padroneggiare la capacità di sentirvi tristi senza in verità essere tristi».
La primavera scorsa, all'ultimo minuto, ricevette un trapianto di fegato; sembrò andare perfettamente, e quasi subito riguadagnò salute ed energia. Poi di nuovo le cose non funzionarono più e non c'era via d'uscita. Ma quando i dottori dissero: «E' tutto. Non abbiamo altre opzioni», l'unica parte della frase che Lou sentì fu "opzioni" - non mollò fino all'ultima mezz'ora della sua vita, quando improvvisamente lo accettò - tutto insieme e completamente. Eravamo a casa - lo avevo portato a casa dall'ospedale pochi giorni prima - e nonostante fosse estremamente debole, aveva insistito per uscire nella luce brillante del mattino.
In quanto meditatori, ci eravamo preparati per questo momento - come muovere l'energia su dalla pancia e fino nel cuore e a farla uscire dalla testa. Non ho mai visto un'espressione tanto piena di meraviglia come quella che aveva Lou quando è morto. Le sue mani stavano facendo il movimento 21 del Tai Chi, l'acqua che scorre. I suoi occhi erano completamente aperti. Tenevo abbracciata la persona che più amavo al mondo e gli parlavo mentre stava morendo. Il suo cuore si fermò. Non aveva paura. Ero riuscita a camminare con lui fino alla fine del mondo. La vita - così bella, dolorosa e abbagliante - non sarà mai meglio di così. E la morte? Io credo che lo scopo della morte sia il rilasciare amore.
Al momento, sento solo la più grande felicità e sono così orgogliosa del modo in cui è vissuto ed è morto, della sua incredibile forza e grazia.
Sono sicura che verrà da me nei sogni e che sembrerà di nuovo vivo. E io mi ritrovo all'improvviso qui da sola sbalordita e piena di gratitudine. Che strano, entusiasmante e miracoloso il fatto che possiamo cambiarci a vicenda così tanto, amarci a vicenda così tanto grazie alle nostre parole e alla musica e alle vite reali.
Un Phowa riuscito: Lou Reed (1942 - 2013)
Quando il 27 ottobre 2013, nei pressi di New York, Lou Reed (71 anni) morì a causa di un'insufficienza epatica, la voce dei critici fu univoca: la musica rock aveva perso uno dei suoi grandi, un musicista e compositore innovativo e fortemente espressivo che aveva contribuito a scrivere la storia della musica.
Rampollo di una famiglia ebrea conservatrice, ebbe una difficile infanzia; la sua passione per la musica blues e rock lo aiutò a canalizzare questo periodo. Fu membro fondatore della leggendaria rockband sperimentale Velvet Underground, e nella sua carriera solista, a partire dal 1972, ebbe grande successo con pezzi come Walk on the Wild Side e Perfect Day. Nei suoi testi ci fu sempre una rielaborazione del vissuto personale, e furono un esercizio di critica alla società. Bruciato da una vita al limite dell'autodistruzione - droghe, trasgressione sessuale, un forte carico di lavoro e tournée estenuanti - dall'inizio degli anni Ottanta si dedicò alla pratica del Tai Chi.
Nel 1992, a Monaco, incontrò la performer Laurie Anderson, più tardi sua moglie. Insieme iniziarono a praticare il Buddhismo e diventarono studenti del giovane tulku Mingyur Rinpoche. Poco dopo la morte di Reed, Anderson ha rilasciato un'intervista al magazine Rolling Stone nella quale parla della vita con un musicista non convenzionale e descrive le circostanze del suo decesso: Lou Reed ha mostrato, dopo la sua morte, gli inequivocabili segni di buona riuscita della "meditazione del morire in modo consapevole" (tib.: phowa).
Un estratto dall'intervista nella quale Laurie Anderson racconta e descrive come si è svolta l'ultima meditazione del suo compagno di vita: «In quanto meditatori, ci eravamo preparati per questo momento - come muovere l'energia su dalla pancia e fino nel cuore e a farla uscire dalla testa. Non ho mai visto un'espressione tanto piena di meraviglia come quella che aveva Lou quando è morto. Le sue mani stavano facendo il movimento 21 del Tai Chi, l'acqua che scorre. I suoi occhi erano completamente aperti. Tenevo abbracciata la persona che più amavo al mondo e gli parlavo mentre stava morendo. Il suo cuore si fermò. Non aveva paura». Prosegue: «Io credo che lo scopo della morte sia il rilasciare amore. Al momento, sento solo la più grande felicità e sono così orgogliosa del modo in cui è vissuto ed è morto, della sua incredibile forza e grazia».
Fonte: Buddhismus Heute 54, Herbst 2014
Traduzione di M.S.
Foto: Laurie Anderson and Lou Reed. Guido Harari/Contrasto/Redux
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