31 maggio 2019

La mente in ritiro – I ritiri nel Buddhismo della Via di Diamante – parte II

Continuiamo la nostra rubrica mensile dedicata ai ritiri e ai centri di ritiro con la seconda parte dell'intervista a Karola B. Schneider incentrata su questo tema.
N.B. L'articolo è pensato per persone che frequentano i centri del Buddhismo della Via di Diamante e hanno già ricevuto delle spiegazioni di base sulle pratiche. 


I ritiri nel Buddhismo della Via di Diamante: come e perché
Di Karola B. Schneider


Intervista realizzata da Sasha Rosenberg e Masha Chlenova durante il tour di insegnamenti di Karola B. Schneider attraverso gli Stati Uniti nel Novembre 2016. 



Si legge nei libri che i maestri del passato andavano in ritiro e da lì comunicavano con il Lama. Milarepa chiama Marpa e Marpa... 

Appare in cielo!

Quando pratichiamo il guru yoga e abbiamo la sensazione di star parlando con il Lama, si tratta di una creazione del nostro ego o è invece un aspetto della pratica stessa?

È la pratica stessa, più la vastità della natura. Un paesaggio sconfinato aiuta a lasciare che i buddha semplicemente si manifestino dallo spazio. È quello che diciamo nel libretto: “Dallo spazio si condensa la forma del XVI Karmapa”. Quando sei seduto a meditare a New York, schiacciato tra un centinaio di persone, puoi pensare che non ci sia spazio per nulla. Quando sei in mezzo alla natura invece è molto semplice sentire che lo spazio intorno a te è come una coperta che ti tiene al caldo, ti protegge o ti ispira totalmente. Di solito diciamo che la mente del maestro è il Buddha, la sua parola il Dharma e il suo corpo il sangha: tutto lo spazio che ti circonda è la mente del Lama e credo che possa diventare molto reale, come nell'esempio di Marpa. Non importa se vedi qualcosa o no, tu sai che si tratta di un vero scambio con il tuo Lama. Ecco perché è un lusso fare delle parti del ritiro in mezzo alla natura. 

Quando sei in ritiro stai in una stanza, esci fuori a camminare o cerchi un buon posto per meditare all'aria aperta? Quando è meglio stare in spazi chiusi e quando invece è meglio uscire?

Direi che dovrebbe essere come preferisci. Milarepa ha meditato ovunque. Forse è più semplice rimanere nella tua casetta di meditazione. La natura può cambiare velocemente – dal buono al cattivo tempo, da una temperatura mite a una fredda o ventosa. In tibetano ritiro si dice tsam, che significa “linea”: tracci una linea per delimitare l'area nella quale ti muovi e sei protetto, e che non vorresti superare. In altre parole quella linea è un'immagine per indicare un confine tra visioni pure e impure.
Può essere una bella sfida, se non sei abituato a stare in luoghi isolati, è per questo che non dovresti fingerti un grande yogi se non lo sei. Va bene anche andare in un posto con delle condizioni più agevoli, come la presenza di un sangha che ti sia di supporto e che chiami un'ambulanza se ti rompi una gamba.

Hai detto che è una buona cosa avere qualcuno che ci assista e faccia da guida. A cosa può servire se si sta facendo un ritiro chiuso?

Non abbiamo bisogno di una guida per il ritiro in sé, perché abbiamo ricevuto le indicazioni da Lama Ole. Abbiamo gli insegnamenti, sappiamo cosa stiamo facendo. Nei lunghi ritiri di tre anni era più utile avere una guida, qualcuno che fosse di riferimento per il gruppo. Qui stiamo parlando di ritiri più corti, un mese al massimo.

A volte, durante un ritiro, le esperienze più interessanti si verificano tra una meditazione e l'altra, quando non c'è nulla da fare. Può diventare evidente che la nostra mente continua sempre a cercare qualcosa con cui tenersi impegnata. L'esperienza di non aver semplicemente nulla da fare ci è nuova. Quindi, cosa si fa?

Leggi un libro di Dharma. Anche questo potrebbe diventare una forma di distrazione, ma una buona distrazione. Nelle pause provi a mantenere la sensazione della meditazione. Cammini, ti siedi, mormori mantra, raccogli della legna, fai il tè, guardi il cielo. In realtà non è una pausa nel senso normale del termine, perché si cerca di mantenere un senso di purezza e, così facendo, di superare l'idea delle fasi di meditazione.
Un altro modo di esercitarci tra una meditazione e l'altra è quello di accumulare meriti, anche se riguarda più nello specifico la nostra pratica nella vita quotidiana.
Durante i ritiri, la fase di costruzione è per sviluppare meriti e quella di dissolvimento per la saggezza. Non ci sono pause. Tuttavia possiamo usare i momenti in cui non meditiamo per delle passeggiate, tenendo il Lama alla nostra destra nello spazio e camminando intorno a lui, oppure possiamo fare auspici.
In tali occasioni i nostri grandi maestri hanno composto dei testi, per esempio delle poesie; sono quelli i momenti in cui sono stati scritti i canti vajra. Non sono stati creati a partire dall'intelletto, quelle parole fluivano direttamente dai loro cuori.

Allora possiamo leggere questi canti vajra?

Certamente, ma non sdraiato a letto. Dovresti stare seduto dritto, i canti vajra non sono pensati per il divano. Alcuni di questi libri sono: The Rain of Wisdom, i canti di Milarepa, Il Grande Sigillo del III Karmapa, storie delle vite dei maestri, Blazing Splendor, eccetera.*

A un certo punto potrebbe sorgere una sensazione di certezza interiore che il Lama sia presente e che possiamo allentare la struttura formale della meditazione. Come possiamo trovare un equilibrio tra seguire il testo della pratica e, al tempo stesso, rompere alcuni compartimenti stagni della nostra mente?

La tua attitudine ti protegge, quindi metticela tutta. Se rotoli giù per la collina ridendo e questa è la tua esperienza, allora che sia così. È questo il motivo per cui è buona cosa che il Lama sappia che siamo in ritiro. C'è questo momento in cui temiamo di impazzire, e si presenta certamente: iniziamo a perdere il controllo, a perdere i punti di riferimento. Abbandoniamo i limiti legati allo stare nei nostri soliti compartimenti stagni di realtà. A quel punto una delle esperienze più importanti è che ci manifestiamo di nuovo con l'auspicio di essere di beneficio, quindi torniamo indietro e diciamo: «Ragazzi, voglio essere stabile e in grado di aiutare gli altri.»
Diverse volte ho chiesto ad Hannah: «Come saprò che ho raggiunto la liberazione?» e lei mi ha sempre risposto: «Non ti preoccupare; lo saprai


Karma Guen, Spagna

Puoi avere dei barlumi, ma la realizzazione non è stabile, l'esperienza di una mente che non cambia?

Eppure il barlume rimane con te e tu lo puoi rinnovare in ogni momento. È per questo che ci servono dei periodi da dedicare al ritiro, per liberarci da questo scatolone di doveri, di chi siamo e come definiamo noi stessi.

Una delle domande più tipiche che le persone fanno sui ritiri è se dobbiamo fare quattro sessioni. 

Io le faccio, è tradizionale. Nelle nostre tecniche abbiamo fasi di costruzione e dissolvimento. A un certo punto non è più importante quanto siano lunghe le sessioni. Se sei in grado di fare la fase del mantra in maniera adeguata, perché non renderla una sessione di tre ore? Puoi farlo, dipende da come funziona l'energia di una persona. Se non riesci dividi il ritiro in otto sessioni. Fai una pausa, semplicemente, e scopri che non c'è differenza tra la meditazione e i momenti tra una meditazione e l'altra.

È vero che si consiglia di fare l'VIII Karmapa come prima cosa al mattino, prima ancora di lavarsi i denti?

Certo. La cosa migliore è svegliarsi e prendere rifugio oppure dire a bassa voce i quattro incommensurabili, poi lavarsi i denti, fare un tè e iniziare la prima sessione, prima di colazione. Questo primissimo momento appena alzati è come quando il pesce salta fuori dall'acqua, ti manifesti nel mondo. Non sei il tuo corpo, hai un corpo, e puoi essere di beneficio agli altri. È davvero un'ottima abitudine, io l'ho seguita per molti anni e la adoro. 

Tradizionalmente il ritiro si comincia di sera e le sessioni corrispondono a particolari momenti della giornata, è corretto?

Sì, è vero. Si dice che il tramonto sia il momento del giorno più favorevole per iniziare un ritiro perché è associato alla protezione. È buona cosa all'inizio del ritiro creare questo campo di protezione intorno a te, mettendo per iscritto il tuo programma, che sia di quattro, sei o qualsiasi altro numero di sessioni. Non è tanto questione di mantenerlo rigidamente quanto di avere un programma. Il metodo classico consiste nel metterlo nero su bianco per dire al tuo ego che hai promesso al maestro che sarà fatto. Non si discute. Questo perché, al terzo giorno, molte persone iniziano a dormire – «Come prima cosa devo riprendermi da tutto lo stress» – oppure a scavare nelle proprie emozioni, magari scrivendo lunghe lettere all'ex fidanzata.
Ecco perché fai la promessa di seguire un piano. Puoi anche collegarla a un auspicio, per esempio qualcosa di cui ti vuoi liberare, o una promessa o qualcosa connesso al tuo maestro. Può essere anche qualcosa di personale. Puoi pensare: «Voglio superare questa stanchezza» o «Voglio liberarmi della nozione di un io». Immagina una persona che sta facendo le offerte del mandala una seconda volta e dice: «Voglio liberarmi completamente dell'attaccamento». Tienilo ben collegato alla pratica e al Dharma. Puoi dedicare il ritiro ad auspici di questo genere, pensando: «Lo voglio fare per il beneficio di tutti.» 


Kuchary,  Polonia

Come si lascia un ritiro? Come fai a tornare alla tua vita e a integrare questa esperienza in essa?

Lo concludi con una dedica leggermente più estesa, la puoi ripetere, usare altri testi o cantare Emaho. Se ti serve qualcosa di simbolico, puoi spargere un po' di riso se hai fatto le offerte del mandala, oppure puoi lasciare un regalo o un'offerta per il posto dove hai fatto il ritiro, dicendo: «Grazie mille, lo dedico a tutti.» Fai una dedica esplicita.
Quando poi lasci il luogo la cosa più importante è portare con te questa esperienza ritornando alla tua vita quotidiana.
Se è un ritiro lungo, meglio prendersi due o tre giorni per rientrare. A Schwarzenberg, quando qualcuno termina un ritiro, chiediamo di cucinarci un pasto e ci sediamo a parlare o facciamo una passeggiata insieme. Se si tratta di un insegnante chiediamo di fare una conferenza. Nei centri di ritiro più remoti si può chiedere alle persone, prima di andar via, di fare qualcosa per il posto, come tagliare la legna per chi arriverà dopo di loro. È utile per le persone che gestiscono questi posti predisporre dei piccoli lavori per i meditatori, dando loro indicazioni su come farli.
È davvero positivo creare una connessione con il luogo, senza contare che la gratitudine è sempre un buono stile, a livello umano. Anche lasciare un'offerta è di grande beneficio. 

Con che frequenza sarebbe meglio fare un ritiro?

Una volta Lama Ole consigliava di fare un mese all'anno, ma si potrebbe benissimo suddividere questo mese andando in ritiro una settimana ogni stagione, non è necessario che sia un mese intero tutto insieme. Le vite delle persone sono molto diverse, se fosse anche solo una settimana all'anno sarebbe ottimo lo stesso. Fare ritiri è parte integrante della nostra vita di Dharma.   


* Cfr.: The Rain of Wisdom, Shambhala Publications, 1980; I centomila canti di Milarepa I, Adelphi, 2002; Lama Ole Nydahl, Il Grande Sigillo, I libri di Marpa, 2009; Blazing Splendor: The Memoirs of Tulku Urgyen Rinpoche, Rangjung Yeshe Publications, 2005. 



Karola B. Schneider
Nata nel 1962, ha preso rifugio nel 1978 e ha iniziato a insegnare Buddhismo nel 1992 per due, tre mesi all'anno. Specialista di Medicina Tradizionale Cinese (Mtc) dal 1992, insieme ad alcuni amici ha fondato il primo centro di ritiri tedesco a Schwarzenberg. Ha vissuto al centro per più di dieci anni e insegna Mtc in Austria, Svizzera e Germania.






Fonte: Karola B. Schneider – The How and Why of Retreats in Diamond Way Buddhism, Buddhism Today 39, Spring/Summer 2017
Tradotto da L.F.
http://www.facebook.com/yogihousebedulita

   

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