10 dicembre 2015

L'unica cosa atemporale che rimane è la ricchezza della propria natura di buddha

 
«Nella vita quotidiana sperimentiamo ovunque che tutto quanto è composto è impermanente. Ciò che proprio un attimo fa viveva potrebbe essere già morto, e quanto si manifesta oggi potrebbe scomparire domani. Anche se le cellule si rinnovano di continuo – così almeno ci auguriamo tutti –, a lungo andare si usurano e pertanto, istante dopo istante, ciascuno di noi sta un poco morendo. La perdita delle persone amate, genitori, fratelli, amici intimi, ma anche della propria salute, così come i cambiamenti esterni dovuti a catastrofi naturali o all’andamento dell’economia, puntano di continuo il dito sull’impermanenza. La vita ha di certo una fine, eppure la ragione non ne vuole sapere, spera in una continuità, spera nell’immortalità. Ogni essere un giorno morirà, è ovvio, ma nonostante siamo in grado di capire quasi tutto, siamo abilissimi a evitare il confronto con un fatto del genere – una negazione che prosegue fino all’ultimo istante di vita. La voglia di sicurezza e immortalità è una tendenza fortissima nell’essere umano, e la spinta ad aggrapparsi alla vita si fa soprattutto più forte in quelle culture che tendono a esorcizzare la morte. Se però comprendiamo che l’unica cosa atemporale che rimane è la ricchezza della propria natura di buddha, allora riusciamo a tranquillizzarci sulla morte.»
 
 
Lama Ole Nydahl
Tratto da Von Tod und Wiedergeburt
(è in corso la traduzione in italiano del volume; tutte le informazioni a questo link: http://morte-e-rinascita.blogspot.it)
Tradotto da M.S.
 
 

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