20 novembre 2016

Oggi è il Lha Bab Düchen, il giorno in cui si celebra la discesa del Buddha dal reame celeste

 
Oggi, 20 novembre 2016, è il Lha Bab Düchen (ventiduesimo giorno del nono mese lunare), il giorno in cui si celebra la discesa del Buddha dal reame celeste.

La madre del Buddha, Mayadevi, prese rinascita nel reame celeste di Indra. Per ricompensarla della sua gentilezza e liberarla, e inoltre per portare beneficio agli dei, il Buddha trascorse tre mesi dando insegnamenti nel reame degli dei. Quando era in procinto di ritornare in questo mondo, Indra e Brahma manifestarono tre scale di ottantamila yojana* ognuna che raggiungevano questo mondo a Sansika, che si trova nel moderno Uttar Pradesh. Mentre il Buddha camminava lungo la scala centrale, i due dèi lo accompagnavano alla sua destra e alla sua sinistra reggendo degli ombrelli in segno di rispetto. Il Buddha discese sulla Terra a Sansika, che viene annoverato tra gli otto luoghi sacri. 

Questa giornata viene detta "moltiplicatore", vale a dire che l'effetto di ogni nostra azione è aumentato milioni di volte. In occasione del  Lha Bab Düchen si moltiplicano dieci milioni di volte gli effetti di tutte le azioni positive e negative.
Pertanto oggi sarà eccellente impegnarsi in attività positive!
Incoraggiamo tutti a fare buoni auspici per i progetti del Buddhismo della Via di Diamante in tutto il mondo!
 

* Yojana (sanscr.): una misura di distanza vedica utilizzata nell'antica India.  Uno yojana corrisponde a circa 12-15 km. [N.d.T.]
 
Fonte: Karma Kagyü Calendar:
C.R.

19 novembre 2016

Quando muore un essere eccezionale

 
Sua Santità il XVII Gyalwa Karmapa Trinley Thaye Dorje propone un insegnamento sul fatto che la morte di un essere eccezionale può essere uno dei più grandiosi insegnamenti, sulla forza e il significato del loro passaggio nel parinirvana.


Neppure un buddha può sfuggire alla morte. La nostra comprensione abituale può farci ritenere che gli esseri illuminati abbiano in qualche modo sopraffatto la morte, ma si tratterebbe di un fraintendimento di quello che significa essere un essere risvegliato. Questa idea sbagliata è in gran parte dovuta al fatto che identifichiamo e interpretiamo erroneamente la morte come la fine delle cose, una condizione di sonno da cui non possiamo svegliarci.

Nel Buddhismo ogni aspetto dell'esistenza, si tratti della nascita, della vita o della morte, viene celebrato e valorizzato in ugual modo. Come praticanti buddhisti, quindi, dedichiamo interamente i nostri corpo, parola e mente alle pratiche dell'ascolto, della contemplazione e della meditazione per riconoscere con piena consapevolezza le fasi di nascita, vita e morte come naturali e interdipendenti.

Molto spesso l'inquietudine, la confusione e il panico che proviamo hanno origine dal non comprendere che nascita, invecchiamento, malattia e morte sono le parti più naturali dell'esistenza. A causa di questa mancanza di comprensione – cioè del non accettare queste parti della vita come naturali – sorgono delle contraddizioni. Per esempio, possiamo avere così tanta paura di vivere da considerare la vita come innaturale e la morte come una fuga dalla vita; oppure, in modo simile, a volte temiamo così tanto la morte da avere una visione innaturale della vita, e quindi ci sforziamo di trovare ogni genere di mezzo per prolungare la nostra esistenza che in essenza è effimera.

Finché non iniziamo ad accettare questi fatti, l'inevitabile futuro di nascita, invecchiamento, malattia e morte, il futuro del vivere e del morire, causa un panico senza fine.

Quando il Buddha Shakyamuni (563-483 a.C.) raggiunse la condizione di completa illuminazione sotto l'Albero della Bodhi, per la prima volta nella sua vita capì che questi stadi dell'esistenza non erano spaventosi e sconvolgenti come aveva immaginato. La sua valutazione errata su nascita, vita e morte lo aveva spinto a fuggire dalla sua vita principesca, e a cercare un qualche genere di elisir inafferrabile. L'elisir che alla fine aveva scoperto consisteva semplicemente nel lasciare che le cose siano.

Questa era la pace che il Buddha stava ricercando quando rinunciò alla sua vita nel lusso. Comprese che quando le cause e le condizioni si riuniscono non c'è niente che possiamo fare per cambiare i risultati; l'unica cosa valida che possiamo fare è lasciare che le cose siano. Dopo aver conseguito l'illuminazione, pertanto, ogni aspetto della sua esistenza fu un messaggio relativo a come lasciare che le cose siano, come vivere, e come morire.

Solo perché era il Buddha non significa che si sia adeguato al nostro concetto di un essere perfetto. Ci furono occasioni nella sua vita in cui lui e il suo seguito sperimentarono fame, malattia e persino danni fisici, ma questo non turbò la sua pace o fece vacillare la sua saggezza.

Quando arrivò la fine ineludibile della sua esistenza, entrò serenamente nel passaggio della morte. Morì senza essere toccato da nessuna ansia, senza nessuna paura o panico, perché comprese che quello che stava sperimentando era il corso più naturale delle cose, e che non c'era niente che non andasse.

Penso che questo sia uno dei più grandiosi insegnamenti che possa mai esistere. Sì, uno dei più grandiosi insegnamenti si presenta quando un essere eccezionale muore. Può essere addirittura molto più forte, concentrato, diretto e semplice di tutti gli 84.000 insegnamenti del Buddha e dei tre giri della Ruota del Dharma.

La dipartita di un buddha o di un grande essere può aiutarci a realizzare che ogni cosa è impermanente. Questo insegnamento ha l'enorme forza di darci uno scossone e svegliarci dal sogno quotidiano della permanenza, da cui altrimenti è così difficile svegliarsi.

Quindi, essere presenti quando un essere eccezionale sta morendo – non corrotti dalla nostra visione consueta sul concetto della morte – fino alla sua cremazione, può essere un insegnamento di immenso valore per il nostro stesso percorso spirituale nella vita e nella morte. 
 
 
Tradotto da C.R.

17 novembre 2016

Kagyü Monlam 2016

 
Il Kagyu Monlam 2016 si terrà dal 15 dicembre al 21 dicembre a Bodh Gaya. Sua Santità il XVII Gyalwa Karmapa Thaye Dorje, in qualità di leader del lignaggio Karma Kagyü, presiederà alle cerimonie, assistito da altri importanti Lama del lignaggio Karma Kagyü e di altre scuole Kagyü.

Il Monlam viene organizzato dalla fondazione di beneficienza del Karmapa, la South Asia Buddhist Association (Saba). Uno degli obiettivi principali della Saba è quello di promuovere l'alfabetizzazione e l'istruzione per incrementare la consapevolezza della ricchezza interiore, le qualità innate e pure di saggezza e compassione che ogni essere umano possiede.

A Bodh Gaya, sotto l'Albero della Bodhi, un discendente dell'albero stesso sotto il quale il Buddha storico raggiunse l'illuminazione, il Karmapa guiderà delle preghiere, accompagnato da Lama, monaci, monache e studenti laici provenienti dall'India e da tutto il mondo.

La sovrana fra le preghiere di auspicio di Samantabhadra sarà al centro di queste recitazioni. Questa preghiera di auspicio tradizionale consta di vasti auspici altruistici per raggiungere l'illuminazione al fine di guidare tutti gli esseri all'illuminazione. Come ha detto il Karmapa:

"Gli auspici hanno una forza immensa. Sono uno dei fenomeni più emozionanti, e ci toccano nel profondo. Raggiungono davvero il cuore della nostra consapevolezza".

Il Karmapa conferirà un'iniziazione e celebrerà una puja per i defunti. Anche Jamgon Kongtrul Rinpoche terrà
degli insegnamenti.


Fonte: http://www.karmapa.org
Clicca qui per una spiegazione sul significato del Kagyü Monlam.
Per altre informazioni: http://www.kagyumonlam-chenmo.org
Tradotto da C.R.
 

15 novembre 2016

Sua Santità il XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje rende omaggio al defunto Sua Santità Jigdal Dagchen Sakya Rinpoche

 
La mattina del 9 novembre, Sua Santità il XVII Gyalwa Karmapa Trinley Thaye Dorje ha visitato il palazzo Sakya Phuntsok a Nuova Delhi per rendere omaggio al kudung (corpo santo) di Sua Santità Jigdal Dagchen Sakya Rinpoche e per offrire le sue condoglianze a Sua Eminenza Jamyang Dagmo Kusho, la moglie spirituale di S.S. Jigdal Dagchen Sakya Rinpoche.

S.S. Vajra Dhara Kyabgön Dagchen Rinpoche Ngawang Kunga Sönam della famiglia Phuntsok Phodrang è morto il 29 aprile 2016, all'età di 87 anni, a Seattle (Usa). Era considerato un importante leader spirituale nell'ambito del Buddhismo tibetano, ed era uno dei principali detentori del lignaggio della tradizione Sakya.

Il kudung di Sua Santità è arrivato a Nuova Delhi il 7 novembre per la cerimonia finale di cremazione, che si è tenuta l'11 novembre presso la Sakya Heritage Society a Delhi Sud. Alla cerimonia ha partecipato anche un gruppo di monaci, studenti e personale del Karmapa International Buddhist Institute (Kibi), guidato dal Prof. Sempa Dorje.


Fonte:
http://www.karmapa.org
http://www.kibi-edu.org
(rimandiamo ai link indicati per una galleria fotografica)
C.R.


11 novembre 2016

Going home

 
Cari tutti,
in un anno che ci ha già fatto conoscere la perdita di menti ricchissime di talento e ispirazione, salutiamo un altro grande, grandissimo: Leonard Cohen.
 
 
Come già per altri, le uniche parole che contano sono le sue. Trovate qui la bellissima I'm going home:
https://www.youtube.com/watch?v=U6jvfSBZvn8

Going home
Without my sorrow
Going home
Sometime tomorrow
Going home
To where it’s better
Than before
Going home
Without my burden
Going home
Behind the curtain
Going home
Without the costume
That I wore
 
 
Leonard Cohen fu anche monaco Zen: ricevette l’ordinazione nel 1996, presso il Mount Baldy Zen Center, a 200 km da Los Angeles, con il nome di Jikan, "Il Silenzio". Lì trascorse alcuni anni, accanto al suo maestro, Sasaki Roshi.
 
 

M.S.

6 novembre 2016

Un insegnamento sulla compassione

 
In occasione dell'anniversario del parinirvana del XVI Karmapa Rangjung Rigpe Dorje, Sua Santità il XVII Karmapa Trinley Thaye Dorje ha pubblicato sul suo sito l'insegnamento sulla compassione che vi presentiamo.
 
 
ll mahabodhisattva Chandrakirti, vissuto nella prima metà del VII secolo d.C., iniziò la sua celebre opera Madhyamikavatara (“Introduzione alla Via di Mezzo“) con questi versi:

“Gli shravaka* e i pratyekabuddha* sono nati dal re Muni [il Buddha, N.d.T.];
i buddha sono nati dai bodhisattva;
e dalla mente della compassione, dalla non dualità
e dalla bodhicitta sono nati i bodhisattva“.
 
Questa particolare citazione del grande maestro buddhista Chandrakirti fa parte delle mie preghiere e pratiche quotidiane; non solo perché sono un buddhista, ma perché sono un essere umano. La citazione parla alla mia consapevolezza, e questa mi permette di riconoscere, comprendere e accettare che il detto “l’amore vince tutto“ è giustificato. In altre parole, questi quattro versi sono parte della mia pratica quotidiana perché sono veri.

Perché? Perché a livello ultimo quello che importa davvero, quello che porta beneficio è l’autentico prendersi cura degli altri; è solo attraverso l’autentica premura che possiamo trovare la gioia. “Autentico“ significa incondizionato, e “gioia“significa essere libero da ogni forma di ansia e sofferenza, il che in termini buddhisti vuol dire essere libero da karma e klesha (le emozioni di disturbo).

In questa vita in continuo cambiamento e breve, sbrigativa, l’unica cosa valida che possiamo realizzare è la compassione. É la sola cosa significativa che possiamo lasciare agli altri, ed è la sola cosa significativa che portiamo con noi. Non importa quanto grandi siano il potere, il patrimonio, la fama che possiamo aver accumulato, alla fine del capitolo della nostra esistenza, e durante il viaggio da una vita all’altra, la compassione è l’unico dono che portiamo con noi e trasmettiamo agli altri.

La compassione sfugge alla logica e alle leggi della vita, trascendendo nascita, invecchiamento, malattia e morte. É la sola qualità che può aiutarci a comprendere queste quattro fasi della vita non come qualcosa di terribile, ma come verità, impermanenza e natura, aiutandoci quindi a trovare il coraggio per vivere esistenze piene di valore. In modo improvviso, riconoscendo e accettando l’impermanenza della vita, scopriamo in essa molta più gioia, molto più scopo.

La compassione mette al mondo esseri straordinari, come gli shravaka e i pratyekabuddha; sono persone proprio come noi, che però sviluppano il coraggio di lasciar andare la fonte dell’ansia, cioè l’ego che nuoce a tutti gli esseri senzienti. La compassione genera anche altri esseri eccezionali, come i buddha e i bodhisattva, che realizzano l’impavidità che li mette in grado di condividere l’esperienza della compassione con tutti gli esseri senzienti, nonostante sappiano che il loro numero non ha limite.

Pertanto, se desiderassimo riconoscere il valore di qualcosa nella vita, dovrebbe essere proprio la compassione, una compassione che sia incondizionata come l’amore di una madre per il suo unico figlio. Per il bene di suo figlio una madre è disposta a sacrificare persino la sua sua stessa vita. Che tipo di persona potrebbe diventare questo bambino in futuro? Una simile domanda è irrilevante quando si tratta dell’amore e della compassione di una madre.

Possiamo noi vedere la nostra esistenza umana come una preziosa esistenza umana che ci permetta di far tesoro di qualità come questa, e non l’anno prossimo, non domani ma proprio qui, proprio ora.


*Shravaka (sanscr. – tib.: nyenthö): arhat o ascoltatori [N.d.T.]

*Pratyekabuddha (sanscr. – tib.: rang sangye): buddha individuali o realizzatori solitari [N.d.T.]
 
 
Tradotto da C.R.

5 novembre 2016

La forza attiva di tutti i buddha

 
Oggi è l'anniversario del parinirvana del XVI Karmapa Rangjung Rigpe Dorje. Vi proponiamo un passaggio dal libro Oltre tutte le frontiere di Lama Ole Nydahl che racconta il momento della sua morte e sottolinea il significato atemporale della sua eredità.
 
«Mentre la morte si avvicinava, il Karmapa aveva preso su di sé cinque o sei malattie mortali. Utilizzando il suo potere di realizzato, aveva trasformato molta della loro nocività, perlomeno per le persone all'interno del suo campo di forza. Nei pressi di Chicago, vicino ai più grandi macelli del mondo, aveva dato una dimostrazione atemporale dell'amore indiscriminato. Aveva anche permesso ai medici di sperimentare delle medicine su di sé.
Alcune delle loro scoperte erano state sorprendenti: nemmeno dosi massicce di sedativi avevano effetto su di lui. Mentre accadeva tutto questo, il suo interesse era sempre rivolto agli altri. Si prendeva cura del loro benessere, e non parlava mai di sé.
La sera del 5 novembre del 1981, nel giorno di Liberatrice, i medici erano entrati come da routine nella sua stanza. Vedendo che i macchinari si erano visibilmente spenti da soli, avevano pensato tutti la stessa cosa: "Ecco che si prende gioco di noi". In quel preciso istante le macchine avevano ripreso a funzionare, avevano lavorato per cinque minuti e poi si erano fermate del tutto. La mattina seguente era arrivato il personale dell'ospedale per rimuovere il suo corpo dal letto, ma i detentori del lignaggio avevano chiesto se fossero presenti tutti i segni della morte. Non lo erano. Il corpo del Karmapa era ancora caldo e morbido. Il centro di energia del suo cuore era talmente caldo, che lo si poteva sentire persino a una certa distanza. Così era rimasto in quel letto: in meditazione per quattro giorni. [...]
In realtà eravamo tutti frastornati dalla morte del Karmapa. Per alcuni mesi il lavoro continuò soprattutto per riflesso. Solo un poco alla volta, attraverso la sensazione di intorpidimento per la perdita, si fece strada la gioia per la responsabilità persino maggiore: adesso dovevamo portare a compimento ogni auspicio espresso dal Karmapa, continuando ad avere fiducia nella benedizione e nella nostra saggezza interiore. [...]
Adesso il compito in Occidente era trasmettere fiducia. I nostri amici avrebbero dovuto comprendere che potevano contare sul Karmapa esattamente come prima. I suoi livelli di verità, gioia e protezione potevano essere accessibili con la stessa efficacia, e la pratica avrebbe portato i risultati di sempre.»


L.F., C.R.